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arte, cioè impellente esigenza di descrivere con un linguaggio efficace e appropriato emozioni contemplazioni scoperte orrori illuminazione e sintonia . . .senza fine alcuno se non  quello di sopravvivere per poter scoprire ancora altro . . . . in fondo le più belle cattedrali al mondo, sono state costruite per l' anelito dell' uomo a chiedere la sopravvivenza al male e alla morte . . . . . .

La pizza per esempio è la famosa pizza Napoletana, un po’ alta, dall’impasto morbido e fragrante, non si può a  volte considerare arte?

L’aspetto del ristorante invece differisce totalmente ed omaggia la visionaria espressione di Gaudì. Mattonelle colorate, grazosi mosaici, tavoli in stile e ambiente allegro. Le particolarità son tante, ad esempio il cameriere si chiama accendendo una piccola luce rossa sopra il vostro tavolo.

Se siete in cerca di un Ristorante a Roma nuovo per cambiare il solito locale per le vostre uscite o se siete dei turisti che hanno bisogno di consigli per trascorrere una piacevole serata, allora questo è un consiglio spassionato per voi! Provare a cenare nel Ristorante Pizzeria Gaudì, vicino al Bio Parco di Roma.

Dischi da leggere

 

Il 9 Settembre del 1998 ci lasciava Lucio Battisti. Gli rendiamo omaggio a modo nostro, con questo articolo di Carlo Pasceri.

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La forma musicale non esiste, essendo essa invisibile e intangibile. Tuttavia, in senso astratto, la forma musicale la possiamo intendere in riferimento all'ordinamento delle sue parti costituenti, l’articolazione del suo “discorrere” (riff, motivi, progressioni di accordi, melodie, arpeggi, ritmi ecc.). Questi assetti “perimetrali”, individuabili tramite ricorrenze e discontinuità dei suoni che si sovrappongono e susseguono, sono dunque come scatole (forma) di quegli stessi materiali (contenuto) che le generano, e comunemente sono chiamate intro, A (a volte strofa), B (a volte ritornello), ponte, assoli, coda ecc.
Perciò è il presentarsi di queste parti strutturali ciò che fa sì che la musica prenda forma, diventi come un oggetto; quasi… In questo modo un brano musicale con gli occhi della mente lo possiamo metafisicamente quasi rendere concreto; comunque un ente comunicabile.

Siamo portati spesso a pensare che, a parte la musica Classica, il genere Jazz sia quello che ha le forme più strane, con tracciati ellittici se non iperbolici, ma non è proprio così… Di certo alcune volte ciò corrisponde al vero, ma nella stragrande maggioranza dei casi gli oggetti musicali Jazz sono piuttosto semplici; viceversa quelli più complessi o meno comuni li abbiamo nell'altro macrogenere, ossia il Rock, nelle sue molteplici declinazioni (naturalmente soprattutto nel Prog-rock). Dunque a volte anche nel Pop-rock troviamo delle forme musicali piuttosto particolari.

Altra importante questione da chiarire è quella che se è vero come è vero che di solito i brani Jazz hanno un contenuto armonico più complesso di quelli Rock, quest’ultimi hanno un’elaborazione più sofisticata del loro seppur minimo materiale: le progressioni di accordi sono tonalmente più ellittiche, si basano meno su consumate formule cadenzali, pertanto sono meno prevedibili.
La maggiore complessità del contenuto armonico nei brani Jazz risiede nella quantità degli accordi e a volte delle note degli stessi, questa maggiore quantità di differenti accordi è determinata dalle tante e veloci modulazioni (cambiamenti temporanei di tonalità) che in questo genere è la regola. Viceversa i brani Pop-rock sono spesso monotonali (o giù di lì), tuttavia le connessioni armoniche sono a volte molto più raffinate, meno basate su soluzioni formulaiche vecchie di secoli come quelle cadenzali.
In fondo ciò non è molto sorprendente, si stabilisce un equilibrio tra la quantità e la qualità: il Pop-rock cura moltissimo l’importantissimo impianto armonico volto a far risaltare melodie che spesso sono di minimo contenuto, la struttura dei brani (forma) e le connotazioni timbriche ed espressive. 

Insomma nel Pop-rock si bada ai minimi dettagli (a volte esageratamente) anche perché si tende a congelare l’opera su disco, che spesso rimarrà il punto di riferimento per anni (se non per sempre) dell’artista che nelle successive riproposizioni di solito concede poco spazio per interpretazioni più o meno libere da parte dei musicisti del brano stesso e avaro di profondi arrangiamenti.

Uno dei primi e maggiori esponenti del moderno e innovativo Pop-rock italiano è stato Lucio Battisti, che ci ha donato molte composizioni eccezionali, alcune passate inascoltate poiché complesse e sperimentali (p.es. “7 agosto di pomeriggio…” e “Anonimo“), altre meno difficili e più ortodosse ma comunque poco conosciute (p.es. “Vento nel vento” e “Io gli ho detto no”), sicuramente perché offuscate dai pezzi che venivano scelti come singoli (45 giri) da “spingere” verso il successo di massa; e la stragrande maggioranza delle persone si faceva bastare quelli, si fermava lì…

Ma anche in questi brani-hit, il nostro caro Lucio non si appiattiva del tutto in convenzionali e ortodosse soluzioni. Infatti, anche nell'epoca più facile, disimpegnata e ballabile ossia dal ’76 in poi, inaugurata con il disco “Lucio Battisti, la batteria, il contrabbasso, eccetera”, dal quale fu tratto “Ancora tu”, e di seguito con i successi “Amarsi un po'/ Sì, viaggiare” tratti da “Io tu noi tutti”, il grande Battisti ha cercato e trovato soluzioni di contenuti e forme assolutamente creative, davvero artistiche.

Il brano “Amarsi un po’”, qui proposto in una rara versione dal vivo chitarra e voce, ha una forma di una semplicità disarmante: Un oggetto che è una specie di piccolo e levigato monolito... In sostanza è un pezzo di cinque minuti interamente basato su 2 accordi senza i classici ritornelli delle canzoni, ma anche senza variazione di tempo, di ritmo, senza pause, senza sussulti e impeti di qualsiasi tipo; solo nel divenire minimi ed eleganti accumuli di suoni.
Ci sono ulteriori elementi che lo rendono particolare e quindi interessante: l'introduzione traccia una melodia che non apparirà più, poi si prosegue basandosi su un riff molto sincopato esposto da basso e chitarra chiaramente ispirato dalla sequenza dei 2 soli accordi, scolpendoli. (A fine sezione se ne aggiungono velocemente altri 2 che fanno cadenza per ritornare al principio della sequenza.)
L’accordo fondamentale del brano è un Lam modo Dorico, e questa è un’altra particolarità: di solito gli accordi tonali basilari sono costruiti sui modi Ionico ed Eolio; ciò dona una prospettiva e colori diversi della nostra percezione musicale all'intero pezzo.
La melodia è minimale e insistente, cambia poco; è divisa in due mini parti di 8 battute, ma non è così scalare come di solito accade nelle canzoni, ci sono dei salti. Quando Battisti finisce di cantare il testo (3’27") e vocalizza, cambia la melodia (stavolta congiungendo di più i gradi della scala base); quando a 3’50" riprende le parole fonde le 2 mini parti melodiche, quella delle prime 8 battute e quella delle seguenti 8. Ancora a 4’16" vocalizza tracciando un’altra mini melodia (più scalare), e quando riprende per finire sfumando, di nuovo propone la melodia compendiata a 3’50".

Nella versione chitarra e voce è tutto ancora più minimo, da notare però che Lucio allunga la melodia iniziandola sempre un po’ prima e finendola appena dopo rispetto all'originale rendendo il pezzo cantato più melodico e disteso (e non c’è il riff sincopato).

 

m  a  r  m  i

la Natura resta la principale maestra!

scorazzando di qua e di là

per il variegato mondo dell' ARTE

ho nutrito sensi, cuore, mente

e soprattutto

anima . . .

spero che chi è passato

casualmente o miratamente di qua

abbia provato

sensazioni belle.

 

 AH, dimenticavo

anche la poesia è forma d' arte!!!!

LL’ETA’ CE STA!

 

- “ Te fanno male ‘e piere? E nun fa niente!

 Tiene dulore ‘e capa? E che t’importa!

 Nun ce ‘a fai a cammenà? E io te porto,

 basta, però, ca nun te fai tirà!

 

 L’età ce sta e nun è colpa nostra,

 pirciò, basta ca tu me stai vicino

 e io cu sta manella, arete ‘e rine,

 te porto, chiano chiano, a passiggià!”-

 

 - “Enzù, ma tu si’ accussì sicuro?

 Nun è ca t’approfitti e po’ t’appuogge?

 Pecchè t’’o dico: nun è cosa, oggi,

 a stiento me mantengo, ‘o vuò capì?”-

 

 - “ Ma stai pazzianno, Rusinella mia,

 io sono il tuo bastone d’’a vicchiaia…,

mò, jammuncenno p’’a Riviera ‘e Chiaia,

 ca ll’aria ‘e mare, bene ce po’ fa!

 

 Appena, po’, truvammo na panchina…,

dduje tarallucci chine ‘e nzogna e pepe…,

‘a gente guarda? Embè, l’invidia crepi,

 già simmo viecchie, che ce ponno fa!?” –

 

8.9.2015

 Vincenzo De Bernardo

arte dello spettacolo . . . .

quest anno il programma del CREBERG e' poco meno che favoloso  . . . . .

CASA PROFESSA

la mia chiesa barocca preferita

1) Il barocco grandioso di Casa Professa

Entrate e resterete inebriati: Per ogni dove si estende un manto ininterrotto di decorazioni, composto dagli elementi più diversi: fiori, frutta, foglie, animali, puttini, in un intarsio marmoreo di estrema mobilità e grazia in una gamma pressoché infinita di colori.

La Chiesa del Gesù, meglio conosciuta come Casa Professa, sorge su un rialzo ricco di anfratti tenebrosi dove, secondo la tradizione, un tempo si rifugiavano santi eremiti e dove ancora si trovano catacombe paleocristiane. La prima costruzione sul poggiolo fu un convento di monaci basiliani, edificato nel IX secolo. A partire da quella data furono diversi gli edifici costruiti in questo luogo, fra i quali cinque chiese che furono assorbite dalla prima chiesa dei Gesuiti, fondata nel 1564. A sua volta questa chiesa fu inglobata in un’altra, la cui costruzione fu intrapresa nel 1591 e terminata nel 1633. Un violento bombardamento, nel 1943, distrusse gran parte del prestigioso monumento. I restauri hanno portato al ripristino di quasi tutti gli stucchi e gli affreschi, restituendo alla chiesa il suo aspetto originario. L’interno fonde il rigore tardo rinascimentale alla nuova spazialità barocca.

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