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il giornalista Paolo Rumiz, inviato di guerra, camminatore a piedi, narratore e pensatore, si è ritirato per due mesi in un faro insieme al guardiano vivendo di cose naturali, di chiacchiere rade e scarse notizie dall' esterno, per recuperare la dimensione interiore, non distratta dal clamore e dalle contraddizioni contrapposte della vita frenetica delle città e del lavoro . . . . non ci dice dov' è quel faro, ci dice di scoprirlo leggendo gli indizi che sparge nel suo libro IL CICLOPE , riferito proprio a quel faro . . . .  bene cercherò di indovinarlo anche io . . . . .

già dall' introduzione l' autore parla di questa scelta di faro e da quello che dice sembra di doverlo collocare sulle coste della penisola balcanica . . . . . incomincerò usando google earth

sbirciando su internet mi accorgo che ci ho quasi preso!

il Toto-Rumiz: ormai è ufficiale, il faro è quello dell'isola di Pelagosa.

 

Riceviamo e volentieri pubblichiamo:

 

Caro Pazzo,

 

l'Isola del racconto di Paolo Rumiz (splendida come sempre la sua narrazione) è sicuramente Pelagosa a NE delle Tremiti, chissà poi perchè appartiene alla Croazia essendo più vicina all'Italia.

 

E' sufficiente guardare sul web le foto del faro per esserne praticamente sicuri.

 

A questo punto lo stesso Rumiz potrebbe confermarlo (e non smentire come promesso nel primo articolo della serie).

Almeno per i lettori di PPR.

 

Cordialmente Romano Scaffardi

 

Ps Oggi arriva anche una puntualizzazione di Massimo Scanzi:

 

Svelato con la puntata di oggi il mistero dei due giorni e mezzo per arrivarci: Rumiz parlava del tempo complessivo occorrente da Trieste via terra e mare. In effetti nella seconda puntata non si parlava di tempo di navigazione. 

SFERRACAVALLO

MONDELLO

 La «solitudine» dell'eremita del faro
 Tra la natura e meravigliosi mosaici 

ANTONIO MERCURIO 26 LUGLIO 2015

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CRONACA

Da 18 anni Nino, conosciuto anche come Isvraele, dedica la sua vita a un antico edificio dell’epoca borbonica edificato sul monte Gallo, tra Mondello e Sferracavallo. Lo ha pazientemente ristrutturato e impreziosito con sorprendenti e minuziose opere d'arte. Una missione la sua che finirà solo «quando lo vorrà Dio»

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L’eremita del faro, ormai tutti lo conoscono così perché da quasi vent’anni vive in solitudine, in sintonia con la natura. Lontano dalla civiltà, da acqua corrente ed elettricità, in un antico faro dell’epoca borbonica edificato sul monte Gallo, tra Mondello e Sferracavallo.

Nino l’eremita, anche se lui preferisce farsi chiamare Isvraele, ha dedicato gli ultimi 18 anni della sua vita a questo edificio, ristrutturandolo e impreziosendolo con sorprendenti e minuziosi mosaici, per lo più pezzetti di vetri raccolti chissà dove.

Sulle pareti adorne all’inverosimile, con motivi geometrici che si ripetono ossessivamente, numerose le figure sacre che si rifanno all'iconografia cattolica ma anche immagini più "profane", come personaggi dei cartoni animati. 

Una missione trasformare quella vecchia costruzione “in un luogo sacro”.

Non a caso la via che porta all’antico faro l’ha ribattezzata la “Via Sacra” e il percorso che conduce fin lì, a circa 600 metri d’altezza, è disseminato di piccoli mosaici che ricordano l’esagramma di Davide, ma anche cuori e angioletti.

Il sentiero, che ricade nella riserva naturale di Capo Gallo, è spesso battuto da numerosi “pellegrini”, a piedi o in mountain bike, che incuriositi vengono a fargli visita.

Anche se incontrarlo non è facile, per lo più schivo, preferisce rimanere appartato. Ma la porta del "tempio" è sempre aperta per consentire a chiunque di ammirare il frutto del suo lavoro, ormai diventato una missione. Dietro una tenda, a piano terra, si accede alle varie stanze, la camera da letto, la cucina e poi, al centro, una scala a chiocciola che si snoda lungo le pareti della torre letteralmente tappezzate di lucenti, caleidoscopici pezzetti colorati. 

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Un caso di Art brut, letteralmente arte grezza, opere realizzate da artisti non professionisti che operano al di fuori delle norme estetiche convenzionali, forse l'unico caso in Sicilia. Isvraele, infatti, è autodidatta.

«Il mio mestiere è ilmuratore – racconta sereno, il viso celato da una lunga barba bianca e da un paio d’occhiali da sole – e la mia arte me l’ha ispirata Dio stesso».

Cresciuto nella borgata di Brancaccio, 57 anni ben portati, conosceva questo luogo fin da piccolo, come rivela lui stesso. «Da bambini – prosegue – venivamo speso qui ma per me è diventata una sorta di casa spirituale».

L’edificio, infatti, per Isvraele è un luogo sacro. «Ho una famiglia – dice – e ogni tanto vado a fare visita ai miei familiari, ma a poco a poco mi sono distaccato da loro». 

Una chiamata legata a segnali ben precisi: «Il segno più forte - ricorda - l’ho ricevuto quando è apparsa la cometa nell’anno in cui ho trascorso qui tutto l’inverno, nel ’97. Allora avevo già incominciato a realizzare i primi mosaici». Nino, infatti, da quando ha lasciato la famiglia trascorre qui gran parte del tempo. Ha un orticello, il forno e la cucina, realizzati da poco, ma a volte scende in città per comprare i viveri, che spesso gli vengono regalati ma, soprattutto, per trovare il materiale di cui ha bisogno per le completare le sue opere. I suoi unici strumenti sono i “piedi e le mani” e una forza fisica inesauribile e non comune come dimostrano le quattro vasche da bagno presenti nella struttura che ha riutilizzato sapientemente per convogliare l’acqua piovana.

«Le vasche? Le ho portate qui da solo. Quanto pesano? Ma niente – sorride compiaciuto - quanto un sacco di colla, 25 chili che porto due alla volta per bilanciarne il peso». Mostra una conoscenza non comune delle sacre scritture, Vangelo e Bibbia, e a queste deve in parte l'ispirazione.

«Ogni lavoro è un’opera che mi viene ispirata. Posso attendere anche tre anni, non posso forzare la mano, anche perché ingloba tutte le anime delle persone che sono venute a trovarmi e così io le proteggo». Vive da solo ma non teme nulla, nemmeno il buio pesto. «La paura?

Non esiste, è mandata da qualcuno – riflette – lo so e così, quando accade, soprattutto nelle notti di tempesta, prego e il mare dentro di me si placa».

Ma fino a quando rimarrà a realizzare le sue opere? «Non lo so, questo spetta a Dio a deciderlo. Fino ad allora – conclude - proseguirò il mio compito, poi si vedrà».

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