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il  disagio  come ricerca di soluzioni

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L'ambientalista inglese Jeremy Roswell è riuscito a realizzare dopo 4 anni di lavoro un aereo da turismo alimentato con un particolare biocarburante ricavato dalla plastica, percorrendo la distanza che separa Sydney a Melbourne

di ALESSANDRO CREA

On Wings of Waste, letteralmente sulle ali dei rifiuti, è il nome di un progetto che ha impegnato per quattro anni l'ambientalista inglese Jeremy Roswell. Il risultato però è notevole: nella giornata di ieri un Vans RV9a, aereo da turismo biposto ad elica, ha percorso gli oltre 800 chilometri che separano Sidney da Melbourne alimentato dalla Soluzione 10%, un particolare biocarburante derivato dal riprocessamento della plastica recuperata dagli oceani, processo di cui si è occupata l'azienda Plastic Energy di Londra. "Dopo anni di preparazione e molti alti e bassi abbiamo finalmente dimostrato che 8 milioni di tonnellate di plastica gettate negli oceani ogni anno possono essere usate con profitto", ha affermato Roswell, che ha anche pilotato l'aereo.


Del resto l'idea è nata proprio dall'osservazione degli effetti devastanti dell'inquinamento sugli oceani, durante i suoi voli. Non a caso infatti il World Economic Forum stima che, da qui fino al 2050, i rifiuti plastici dispersi in mari e oceani supereranno in peso tutti i pesci viventi, una prospettiva non certo esaltante. L'idea è quindi di recuperare la maggior parte di quella plastica, impiegandola come carburante.

Il processo adottato da Plastic Energy per raggiungere lo scopo è quello della conversione termica anaerobica o pirolisi, In esso la plastica viene riscaldata in una camera priva di ossigeno per impedirne la combustione, evitando così di generare emissioni tossiche. Se si riuscisse dunque ad applicare questo tipo di procedura su scala industriale si potrebbero rivoluzionare i trasporti aerei, con un impatto positivo sull'ambiente.

Secondo i calcoli di Roswell infatti se già solo i 1200 i voli che transitano quotidianamente dall'aeroporto londinese di Heathrow usassero la sua miscela, per alimentarli si dovrebbero riciclare 21.600 tonnellate di rifiuti di plastica.

questo documento è sconvolgente, perchè fa risaltare quanto la depressione emotiva e ragionata sia lo spostamento verso il negativo nel modo di  sentire in ogni azione, emozione, pensiero la parte paurosa, deludente, insoddisfacente del vivere . . . .  si sfiora nelle parole della ragazza una lacerante forma poetica che mira a descrivere il dramma che vive chi non riesce a vedere il buono, il bello e l' utile nella vita quotidiana . . .forse parlarne è già una terapia, ma dopo lo sfogo occorre assolutamente affiancare la persona con altre persone che in varia maniera soffrono questo disturbo dell' umore e dell' agire e sentire . . . . sia in modo acuto che in modo cronico lieve o opprimente fino alla necessità di farmaci e interventi compensanti . . . . . . . .per un depresso una immagine bella equivale , anzi è generatrice di dolore . . . . . .invece che di gioia o di speranza . . . o d' amore!!!!

GRAN BRUTTA BESTIA LA DEPRESSIONE !

Io lo so che sarà là, da qualche parte tra le nuvole, 
sarà là che incontrerò alla fine il mio destino; 
io non odio questa gente che ora devo combattere, 
e non amo questa gente che io devo difendere; 
il mio paese è Kiltartan Cross, 
la mia gente i suoi contadini, 
nulla di tutto ciò può renderli più o meno felici. 
Nè la legge nè il diritto mi spinsero a combattere, 
non fu la politica, nè l'applauso della folla. 
Un impulso di gioia fu, un impulso solitario 
che mi spinse un giorno a questo tumulto fra le nuvole; 
nella mia mente ho tutto calcolato, tutto considerato, 
e gli anni a venire mi sono sembrati uno spreco di fiato, 
uno spreco di fiato gli anni che ho passato 
in paragone a questa vita, a questa morte.

“Devo essere sereno per accettare le cose che non posso cambiare, coraggioso ed entusiasta per cambiare quelle che posso modificare e abbastanza saggio per distinguere tra cosa posso fare e cosa non posso fare”.

                                                                     (Reinhold Niebuhr)

I SETTE SPECCHI ESSENI

 

Gli antichi Esseni identificarono, forse meglio di chiunque altro, il ruolo dei rapporti umani definendoli in sette categorie: sette misteri corrispondenti ai vari tipi di rapporto che ciascun essere umano avrebbe sperimentato nel corso della propria vita di relazione. Gli esseni hanno definito queste categorie “specchi“, ricordandoci che, in ogni momento della vita, la nostra realtà interiore ci viene rispecchiata dalle azioni, dalle scelte e dal linguaggio di coloro che ci circondano.

Il primo Specchio Esseno 
riguarda la nostra presenza nel momento presente. Il mistero è incentrato su cosa noi inviamo, nel presente, alle persone che ci stanno accanto. Quando ci troviamo circondati da individui e modelli di comportamento in cui dominano la rabbia o la paura, lo specchio funziona in entrambi i sensi. Potrebbe invece trattarsi di gioia, estasi e felicità perché ciò che vediamo nel primo specchio è l’immagine di quello che noi siamo nel presente. Chi ci è vicino ce lo rimanda, rispecchiandoci.

Il secondo Specchio Esseno 
ha una qualità simile alla precedente, ma è un po’ più sottile, anziché riflettere ciò che siamo, ci rimanda ciò che noi giudichiamo nel presente. Se siete circondati da persone, i cui modelli di comportamento vi provocano frustrazione o scatenano la vostra rabbia e se percepite che quei modelli non sono vostri in quel momento, allora chiedetevi: “Mi stanno mostrando me stesso nel presente?”. Se potete onestamente rispondervi con un no, c’è una buona probabilità che vi stiano invece mostrando ciò che voi giudicate nel momento presente. La rabbia, l’astio o la gioia che voi state giudicando.

Il terzo Specchio Esseno 
è uno degli specchi più facili da riconoscere, perché è percepibile ogni volta che ci troviamo alla presenza di un’altra persona, quando la guardiamo negli occhi e, in quel momento, sentiamo che accade qualcosa di magico. Alla presenza di questa persona, che forse non conosciamo nemmeno, sentiamo come una scossa elettrica, la pelle d’oca sulla nuca o sulle braccia. Che cosa è successo in quell’attimo? Attraverso la saggezza del terzo specchio ci viene chiesto di ammettere la possibilità che, nella nostra innocenza, rinunciamo a delle grosse parti di noi stessi per poter sopravvivere alle esperienze della vita. Queste “parti di noi” possono venir perse più o meno consapevolmente, o portate via da coloro che esercitano un potere su di noi. Se vi trovate in presenza di qualcuno e, per qualche motivo inspiegabile, sentite l’esigenza di passare del tempo con lui, ponetevi una domanda: che cos’ha questa persona che io ho perduto, ho ceduto, o mi è stato portato via? La risposta potrebbe sorprendervi molto, perché in realtà riconoscerete questa “sensazione di familiarità” quasi verso chiunque incontriate. Vedrete cioè delle parti di voi stessi in tutti. Questo è il terzo mistero dei rapporti umani.

Il quarto Specchio Esseno
è una qualità un po’ diversa. Spesso nel corso degli anni ci accade di adottare dei modelli di comportamento che poi diventano tanto importanti da farci riorganizzare il resto della nostra vita per accoglierli. Sovente tali comportamenti sono compulsivi e creano dipendenza. Il quarto mistero dei rapporti umani ci permette di osservare noi stessi in uno stato di dipendenza e compulsione. Attraverso esse rinunciamo lentamente proprio alle cose cui teniamo di più, le cediamo, le lasciamo. Ad esempio, quando parliamo di dipendenza e compulsione, molte persone pensano all’alcol e alla nicotina. Ma ci sono altri modelli di comportamento più sottili; si pensi all’esercizio di controllo in ambito aziendale e in famiglia, alla dipendenza dal sesso e dal possedere o generare denaro e abbondanza. Quando una persona incarna un simile modello di comportamento, può star certa che il modello, che pur è bello di per sé, si è creato lentamente nel tempo. Se riorganizziamo le nostre vite per far posto al modello dell’alcolismo o all’abuso di sostanze, forse stiamo rinunciando a porzioni della nostra vita rappresentate dalle persone che amiamo, dalla famiglia, dal lavoro, dalla nostra stessa sopravvivenza. Il tratto positivo di questo modello è che può essere riconosciuto ad ogni stadio, senza dover arrivare agli estremi e perdendo tutto. Possiamo riconoscerlo, guarirlo e ritrovare la nostra interezza ad ogni step.

Il quinto Specchio Esseno 
è forse il più potente in assoluto, perché ci permette di vedere meglio e con maggiore profondità degli altri, la ragione per cui abbiamo vissuto la nostra vita in un dato modo. Esso rappresenta lo specchio che ci mostra i nostri genitori e l’interazione che intratteniamo con loro. Attraverso esso ci viene chiesto di ammettere la possibilità che le azioni dei nostri genitori verso di noi riflettano le credenze e le aspettative che nutriamo nei confronti del rapporto più sacro che ci sia dato di conoscere sulla Terra: il rapporto che intercorre fra noi, la nostra Madre e il nostro Padre Celeste, vale a dire con l’aspetto maschile e femminile del nostro creatore, in qualunque modo lo concepiamo. La relazione con i nostri genitori può quindi svelarci il nostro rapporto con ildivino. Per esempio, se ci sentiamo continuamente giudicati o se viviamo in una condizione per cui “non è mai abbastanza”, è altamente probabile che il rapporto con i nostri genitori rifletta la seguente verità: siamo noi che, grazie alla percezione che abbiamo della nostra persona e del Creatore, crediamo di non essere all’altezza e che forse non abbiamo realizzato quello che da noi ci si aspettava.

Il sesto Specchio Esseno
ha un nome abbastanza infausto; gli antichi lo chiamarono infatti l’oscura notte dell’anima. Ma attenzione, lo specchio in sé non è necessariamente sinistro come il nome che porta. Attraverso un’oscura notte dell’anima ci viene infatti ricordato che la vita e la natura tendono verso l’equilibrio e che ci vuole un essere magistrale per bilanciare quell’equilibrio. Nel momento in cui affrontiamo le più grandi sfide della vita, possiamo star certi che esse divengono possibili solo dopo aver accumulato gli strumenti necessari per superarle con grazia e facilità; perché è quello il solo modo per superarle. Fino a che non abbiamo fatto nostri quegli strumenti, non ci troveremo mai nelle situazioni che ci richiedono di dimostrare determinati livelli di abilità. Quindi, da questa prospettiva, le sfide più alte della vita, quelle che ci vengono imposte dai rapporti umani e forse dalla nostra stessa sopravvivenza, possono essere concepite come delle grandi opportunità, che ci consentono di saggiare la nostra abilità, anziché come dei test da superare o fallire. E’ proprio attraverso lo specchio della notte oscura dell’anima che vediamo noi stessi nudi, forse per la prima volta, senza l’emozione, il sentimento ed il pensiero, senza tutte le architetture che ci siamo creati intorno per proteggerci. Attraverso questo specchio possiamo anche provare a noi stessi che il processo vitale è degno di fiducia e che tale fiducia può essere accordata anche a noi, mentre stiamo vivendo la vita. La notte oscura dell’anima rappresenta l’opportunità di perdere tutto ciò che ci è sempre stato caro nella vita. Confrontandoci con la nudità di quel niente, mentre ci arrampichiamo fuori dall’abisso di ciò che abbiamo perso e percepiamo noi stessi in una nuova luce, possiamo però esprimere i nostri più alti livelli di maestria.

Il settimo Specchio Esseno 
dalla prospettiva degli antichi era il più sottile e, per alcuni versi, anche il più difficile. E’ quello che ci chiede di ammettere la possibilità che ciascuna esperienza di vita, a prescindere dai suoi risultati, è di per sé perfetta e naturale. A parte il fatto che si riesca o meno a raggiungere gli alti traguardi che sono stati stabiliti per noi da altri, siamo invitati a guardare i nostri successi nella vita senza paragonarli a niente. Senza usare riferimenti esterni di nessun genere. Il solo modo in cui riusciamo a vederci sotto la luce del successo o del fallimento è quando misuriamo i nostri risultati facendo uso di un metro esterno. Ma a quel punto sorge la seguente domanda: “A quale modello ci stiamo rifacendo per misurare i nostri risultati? Quale metro usiamo?” Nella prospettiva di questo specchio ci viene chiesto di ammettere la possibilità che ogni aspetto della nostra vita personale – qualsiasi aspetto – sia perfetto così com’è. Dalla forma e peso del nostro corpo, ai risultati personali in ambito accademico, aziendale o sportivo. Ci renderemo conto insieme che, in effetti, questo è vero e che un risultato può essere sottoposto agiudizio solo quando viene paragonato ad un riferimento esterno. Il settimo specchio ci invita quindi a permetterci di essere il solo punto di riferimento per i risultati che raggiungiamo.

Nel passare attraverso gli specchi, noi procediamo attraverso la nostra vita, forse senza nemmeno renderci conto del perché facciamo queste cose. Sarebbe bello se ogni mattina si accendesse una bella luce al neon che ci dicesse:

“Oggi, dopo aver fatto colazione, dopo che i tuoi familiari sono usciti, puoi cominciare il tuo lavoro sull’oscura notte dell’anima.”

La vita non funziona così. Siamo invitati a conoscere noi stessi in presenza di altri, attraverso i nostri rapporti umani e quando quei rapporti sono sanati, noi diventiamo il beneficio di quella guarigione e lo portiamo in noi nel sogno ad occhi aperti della vita, camminando fra i due mondi del cielo e della terra.

Gregg Braden
tratto dalla trascrizione della videoconferenza “Camminare tra i mondi”

chi sei tu?

E' così importante

o basta una ipotesi di comodo?

Ripeto: chi sei tu davanti all' altro?

Cosa scaturisce dal servire o dal farsi servire?

Se e quando lo saprai

questo dovrebbe generare

una pacificazione e una  sollevazione

chi sei tu paragonandoti e mettendoti a disposizione ?

m u s i c a

numerologia

approfondimenti sul mondo poetico di TERESA

Lentamente muore
chi diventa schiavo dell’abitudine,
ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi,
chi non cambia la marcia,
chi non rischia e cambia colore dei vestiti,
chi non parla a chi non conosce.
Muore lentamente chi evita una passione,
chi preferisce il nero su bianco
e i puntini sulle “i”
piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle che fanno brillare gli occhi,
quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso,
quelle che fanno battere il cuore
davanti all’errore e ai sentimenti.
Lentamente muore
chi non capovolge il tavolo,
chi è infelice sul lavoro,
chi non rischia la certezza per l’incertezza per inseguire un sogno,
chi non si permette almeno una volta nella vita, di fuggire ai consigli sensati.
Lentamente muore chi non viaggia,
chi non legge,
chi non ascolta musica,
chi non trova grazia in se stesso.
Muore lentamente chi distrugge l’amor proprio,
chi non si lascia aiutare
chi passa i giorni a lamentarsi
della propria sfortuna o della pioggia incessante.
Lentamente muore
chi abbandona un progetto prima di iniziarlo,
chi non fa domande sugli argomenti che non conosce,
chi non risponde quando gli chiedono qualcosa che conosce.
Evitiamo la morte a piccole dosi,
ricordando sempre che essere vivo
richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di respirare.
Soltanto l’ardente pazienza
porterà al raggiungimento
di una splendida felicità.

                                                                             Martha Medeiros

i libri di Teresa

amicizia
rispetto
complicità
quando l' occasione
detta interessi e sorprese
ti trovi a ringraziare
la sorte
che ti consente
una qualche espressione
dei tuoi interessi
più genuini
e adatti a te . . . . 
senza far troppo conto
che
tra il progettare
il San Gottardo-tunnel ferroviario
e il comperare
il plastico della De Agostini
sulla omonima ferrovia
per il gusto personale
del guardare muoversi due trenini in scala
la distanza d' anime
non è poi così grande
mentre lo è ovviamente
la preparazione tecnica e la perizia realizzativa
tra l' ingegnere e il modellista . . . . . . 

come mettere una buona musica

a testi già scorrevoli di parole armoniose?

E' necessario e possibile solo intuire

provare

riversare

sperare che i suoni e i ritmi cantati

non ledano 

e se va bene addirittura

giustifichino l' esercizio di far canzone !

​

grande allegoria

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