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sto andando a ritirare in biblioteca il libro che ho prenotato.
E' questo un libro che ripercorre il nostro passato e dimostra che le IDEE nascono, si sviluppano, si realizzano, si modificano,  talvolta si impongono come originali, risolutive e diventano patrimonio comune!
alla mia età, spesso la molla delle idee si incrina un po', perchè non si vede più la necessità di creare, costruire, farsi strada e mettere i semi per un futuro migliore . . . . però questo provoca un sentimento di pacata rassegnazione che guarda al passato e ai successi conseguiti . . .perchè non rimettere in moto il meccanismo dell' inventiva, magari per i figli o per puro sfizio e scommessa . . . . . 

RASSEGNA

DI                 IDEE

DALLA RETE

e così camminando per strada noto cose divertenti, simpatiche curiose anche spiacevoli, ma tutte reali e alcune in vendita che occhieggiano da vetrine addobbate . . . 
ricordo cose viste oggi in rete che mi hanno sorpreso e incuriosito e penso che o da solo o con buona compagnia di amici o conoscenti disponibili a partecipare, possiamo generare e gestire idee che poi potrebbero diventare una stabile occupazione, magari anche essere proposte al proprio ambiente  . . . . . . 

RASSEGNA

               DI                 IDEE

DALLA RETE

MUSICA A DISTANZA E SUA SINCRONIZZAZIONE

PIANTINE COLTIVATE COME FOSSERO QUADRI ALLA PARETE

CONTA PIU' LA QUANTITA'                   IN NUMERO O LA DIVERSITA' ?

FOTO DIVERTENTI

IDEE DI ALIMENTAZIONE

IDEE DI MECCANICA

IDEE DI RICICLAGGIO

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Keith Richards and Friends - Wild Horses, live 2004 - YouTube

Keith Richards, with Jim Lauderdale, Jay Farrar, Raul Malo, Jim James, John Doe, Kathleen Edwards, Susan Marshall, Steve Earle, Lucinda Williams, Norah Jones, Dwight Yoakam, Polly Parsons, The House of Blues Gospel Choir and the Sin City All Stars.

IDEE COSI'

William Gadoury 15 anni

dal Quebec Canada

 La città perduta dei Maya si chiama K'aak'chi.

A scoprirla è stato un quindicenne del Quebec

Huffington Post | Di RedazionePubblicato: 10/05/2016 10:59 CEST

Aggiornato: 10/05/2016

Cosa avranno mai in comune le stelle con la civiltà precolombiana? Eppure queste sono le due passioni di William Gadoury, il quindicenne del Quebec che, mettendo insieme qualche ipotesi, qualche calcolo e qualche osservazione delle stelle, ha scoperto una città maya fino a oggi sconosciuta. Due passioni che si intrecciano e che in men che non si dica lo hanno trasformato nella 'star' della Nasa.

La città si trova in una zona selvaggia della penisola dello Yucatan. Il suo piccolo scopritore l'ha chiamata 'Ka'aak'chi', 'Bouche de feu', ovvero 'bocca di fuoco'. È iniziato tutto nel 2012, il ragazzo aveva 11 anni e sentendo tutti intono a sé parlare della profezia sulla fine del mondo ha iniziato ad interessarsi a queste civiltà. Già appassionato di cosmologia ha iniziato ad accorgersi che tutte le città costruite dalla civiltà pre-americana avevano la forma delle costellazioni.

"Non riuscivo a capire perché questa civiltà avesse scelto di costruire i propri centri abitati lontano dai fiumi, su terreni poco fertili e tra le montagne. Pensai che doveva esserci un'altra ragione. Del resto i Maya veneravano le stelle", ha detto William. Così ha analizzato le costellazioni, mettendo tutto su carta. Ha disegnato le costellazione su fogli trasparenti e li ha sovrapposti alla mappa delle città maya e si è accorto che corrispondevano agli schemi da lui pensati. Si è così accorto che alle 22 costellazioni corrispondevano precisamente il posizionamento di 115 città. Analizzando la ventitreesima costellazione, composta da tre stelle, si è accorto che le città erano solo due. Ne mancava una.

Ed ecco l'ipotesi vincente. Le città dovrebbero essere 118 come le stelle, invece, sono 117. Deve esserci una città perduta. Seguendo la propria teoria ha ipotizzato che la terza città maya corrispondente alla terza stella della costellazione e che fosse situata in una zona ben precisa della penisola dello Yucatan, in Messico.

Forte della sua teoria William si è rivolto all'Agenzia spaziale canadese. La sua teoria ha incuriosito molto gli scienziati che gli hanno subito messo a disposizione i dati raccolti dai satelliti. Ed eccola lì, la città perduta c'è. L'hanno trovata. Le immagini hanno infatti mostrato una piramide e circa 30 abitazioni riconducibili ai Maya.

Gli esperti e gli scienziati sono unanimi. La scoperta di William Gadoury è eccezionale. "Quello che è interessante del progetto di William, è la profondità della sua ricerca. Ha collegato la posizione delle stelle, la posizione di una città perduta e l'uso di immagini satellitari su un territorio molto piccolo ed è riuscito ad identificare i resti sepolti sotto una fitta vegetazione. Eccezionale!" Ha ha detto Daniel de Lisle, l'Agenzia spaziale canadese al Journal de Montreal.

Il dottor Armand LaRocque, uno specialista di telerilevamento all'Università di New Brunswick a Fredericton ha svolto un ruolo importante nell'analisi delle immagini radar. "La scoperta di strutture umane nascoste nella giungla dello Yucatan non è stata facile, ma l'uso di immagini satellitari, così come il contributo di elaborazione delle immagini digitali hanno contribuito a identificare queste strutture e per confermare la loro possibile esistenza, anche se sono stati dimenticati per centinaia di anni".

Nessuna spedizione archeologica è ancora partita alla volta della città perduta, ma potrebbe essere solo una questione di tempo. Il giovane William grazie alla scoperta ha messo da parte un bel gruzzoletto che gli permetterà di andare all' Expo internazionale delle scienze in programma in Brasile nel 2017 e di finanziare la campagna di scavo nello Yucatan. La città perduta dei Maya così tornerà alla luce.

 

Acqua pulita, elettricità e connessione a internet: tutto in un progetto che, dopo avere superato diversi passaggi - e ottenuto riconoscimenti internazionali - ora si appresta al lancio sul mercato. Si chiama Watly, e nasce a Udine, la macchina che disseterà il pianeta. Il primo prototipo è stato presentato a giugno 2013.

Watly, già coperto da brevetto, nasce dall’intuizione di Marco Attisani che con il suo team internazionale - metà friulano, metà catalano - ha sviluppato negli ultimi 3 anni la tecnologia e i prototipi che gli hanno permesso di testarlo anche “on site”, in Ghana, nel villaggio di Abenta, dove il modello 2.0 ha portato acqua pulita agli abitanti. La startup ha ricevuto nel 2015 l’European Pioneers, l’Horizon2020 e il Premio Corporate Gaetano Marzotto, ed entrarà a breve nel programma di accelerazione di ESA (European Space Agency).

In questi mesi il team è a lavoro a Udine per costruire il primo Watly 3.0: per raccogliere la cifra necessaria è stata lanciata una campagna di crowdfunding sulla piattaforma Indiegogo, mirata a sostenere la realizzazione di una seconda macchina, Sarà installata in un Paese che presenti le caratteristiche necessarie, dalla stabilità politica a una sufficiente irradiazione solare. Watly usa infatti il sole per purificare l’acqua da ogni contaminazione, che si tratti di batteri, solventi, idrocarburi, lo stesso sale. L’acqua entra nel sistema automaticamente grazie a pompe solari, e poi viene stoccata in contenitori provvisti di lampade UV. L’apparecchio produce l’energia di cui ha bisogno per funzionare, e non deve essere collegato ad alcuna rete elettrica: 80 pannelli fotovoltaici possono generare fino a 150 kWh al giorno, che vengono immagazzinati in batterie. In un giorno mediamente illuminato, potrebbe ricaricare 20mila cellulari.

Non solo: Watly è uno strumento di comunicazione che può assicurare la connessione internet e inviare immagini, testi, file audio. Può perfino essere collegata a una stampante 3D. Nelle immagini del progetto si vedono dei grandi moduli, fatti a tubo, più grandi di un’automobile: tutta la costruzione è affidata ad aziende friulane, dove si trovano le competenze necessarie.

La campagna di crowdfunding punta a raccogliere almeno 75mila dollari: garantiranno acqua pulita a 750 persone per 15 anni. L’obiettivo però è più ambizioso: «Vorremmo installare almeno due macchine: l’ideale sarebbe poter creare un ponte fra il Paese africano prescelto e una città italiana: la macchina ha display grandi nove metri, è come un gigantesco cellulare, i bambini potrebbero vedersi e parlarsi a distanza di migliaia di chilometri» spiega Marco Attisani, ideatore ed executive officer. Il tutto è stato progettato per una totale autonomia, richiede una manutenzione minima e può essere utilizzato senza necessità di particolari abilità.

In 15 anni di attività può abbattere le emissioni di Co2 di 2mila tonnellate, l’equivalente di 5mila barili di petrolio. Per garantire una equa distribuzione dell’acqua, si sta pensando di produrre taniche da 5 litri per uso personale; i primi acquirenti potrebbero essere nel settore pubblico: scuole, istituzioni, ospedali, organizzazioni non governative. In futuro potrebbe essere costruiti impianti per comunità più piccole o per famiglie. La scarsità di acqua sta diventando un problema sempre più presente anche in luoghi quali Australia e California. Il modello di business è etico: «Crediamo fortemente nella possibilità di rendere il mondo migliore, dove non ci siano persone - e oggi sono un miliardo - che non hanno accesso ad acqua pulita, o peggio ancora uomini, donne e bambini che muoiono a causa della contaminazione da idrocarburi o da batteri», conclude Attisani.

 

 

20 APRILE 2016

TAG: Barbara Ganz, Udine, Agenzia spaziale europea, Marco Attisani, Macchina, Acqua, Inquinamento

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