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PIETRO D’ABANO

 

Pietro d’Abano fu insegnante di medicina, filosofia e astrologia all’Università di Parigi e dal 1306 all’Università di Padova nonchè profondo conoscitore ed estimatore delle artes greco-bizantine ed arabe, che ebbe modo di apprezzare durante il suo lungo soggiorno a Costantinopoli, ove si era recato per studiare in lingua originale i testi di Galeno e Avicenna. Si dedicò allo studio di altre scienze, oltre a quella medica, che riteneva fossero ad essa correlate: l’astrologia e l’alchimia. Egli infatti riteneva che un buon medico dovesse essere non solo un buon astrologo, per potere giudicare il momento più propizio ed efficace per la somministrazione di determinate cure o la raccolta di certe erbe, ma anche un esperto alchimista per la preparazione dei medicamenti più adatti ai diversi mali. Fu proprio questa interdisciplinarità - soggetto principale della sua opera più famosa, il Conciliator differentiarum philosophorum et praecipue medicorum -, ad attirare su di lui i sospetti di eresia da parte del Tribunale dell’Inquisizione - ben cinquantatrè furono i capi di accusa più gravi imputatigli - che infatti lo accusò non solo di negromanzia e di averroismo, ma anche di aver deriso e messo in discussione nei suoi scritti tanto i miracoli dei santi che l’esistenza dei demoni. L’accanimento dei domenicani si protrasse ben oltre la sua morte avvenuta nel 1315, l’anno seguente infatti il Tribunale decretò che le spoglie dello studioso dovessero comunque essere poste al rogo. Pietro conferiva alla scienza medica un posto preminente rispetto alle sette arti già incluse nel trivio e nel quadrivio, ritenendola infatti la scientia scientiarum, ovvero la “scienza delle scienze”: non solo compendio naturale di quelle, ma anche philosophia naturalium rerum. A buon diritto, quindi, il medico poteva fregiarsi del titolo di philosophus, in questo caso della natura umana. All’approfondimento della medicina affiancò lo studio sistematico dell’astrologia: essenziale era calcolare il momento giusto in cui somministrare cure e medicamenti, come pure la conoscenza dell’alchimia per la loro preparazione. Infatti l’astrologia influenzava la vita dell’uomo e del cosmo, la trasformazione degli elementi naturali, i caratteri  e la vita degli individui. 
Ad esempio, un segno zodiacale di particolare interesse per Pietro d’Abano era lo Scorpione, in grado di conferire grandi doti ai medici, a coloro che si occupavano della salute dei corpi e manipolavano veleni: era il segno della magia che trasformava. Nel Conciliator differentiarum philosophorum et praecipue medicorum sosteneva apertamente la connessione tra il mondo naturale e gli astri, il ricorso alla magia, agli incantesimi e l’uso della  medicina, e una concezione dell’uomo e dell’intero creato come un armonioso organismo regolato dalle costellazioni. Mise in discussione l’esistenza dei demoni ed anche i miracoli dei santi; negò la Provvidenza e cercò di spiegare le resurrezioni, raccontate nei testi biblici, come casi di morte apparente. Oltre al Conciliator, un’altra opera di Pietro d’Abano riveste grande importanza: la Geomantia, tradotta dal latino e poi pubblicata nel 1544. 
In questo testo, si spiega in che cosa consista l’antico sistema pagano di divinazione, la ‘Geomanzia’, la divinazione degli Elementi: il geomante interpreta il messaggio ed i significati delle forme assunte da sassolini gettati a terra e predice il futuro. 
I simboli geomantici, dice Pietro d’Abano, sono sedici e sono legati ai quattro punti cardinali e ai quattro elementi: “fuoco, aere, aqua et terra”. 
Ancora oggi la geomanzia si basa sulla antica saggezza delle origini e sulla meticolosa opera di sistematizzazione di Pietro d’Abano. 
Questo testo originale si trova alla Biblioteca Trivulziana di Milano, nel Fondo Morando. Ecco un breve passaggio dell’opera:

“Geomantia si è una scienza breve da conoscere per virtù de er modo di Astrologia, di quelle cose quale la persona vuol operare, qual  fine et successo habbiano avere, secondo che per  virtù naturale et influsso celeste si può conoscere et giudicare. Et questo modo di giudicare et conoscere, sie per quattro lineamenti et figure fatte con alcuni punti, fatti con carte et inchiostro, secondo che la man del Geomante, per l’influsso celeste è portata,  et da Dio eterno con la grazia fue governata, quale sempre nel principio della figura et interrogatione, dimandar si debbe co’ animo sincero et fidele. Et di quelli quattro lineamenti, co’ quattro virgule di punti per ogni lineamento, se formano sedici figure, le quali significano tutto quello che accade la persona disiderar di sapere, et no ponno essere più de 16 ne manco…”.

"Siate fascisti. Combattere e morire per quelli che sono i fondamenti della civilta', Dio, Patria e Famiglia. Mussolini riporta la religione al centro dello Stato, un uomo inviato dalla Provvidenza, che ha dato l'Italia a Dio e Dio all'Italia."

Questi sono i preti, fascisti e pedofili, che parlano ad una massa di pecore beote. 
Il Fascismo si consolido' in Italia grazie alla Chiesa. La Chiesa.I messaggeri della pace e di Dio.
La Chiesa. La piu' grande truffa all'umanita'.

nella chiesa come nella societa' civile albergano contemporaneamente spinte di tutti i tipi, le une verso spiritualità ma anche riaffermazione di privilegi e pretese, dall' altra ciarlatanerie e vere intuizioni sincere e coerenti, sia di qua che di là insomma fioccano, specie oggi con l' ausilio del web, proposte, minacce, millanterie, narcisimi e aneliti . . . . . . 

qui sotto a confronto Don Tonino Bello, un vescovo anomalo ( anche per la chiesa ufficiale ) e uno " sciamano " operante in rete, in editoria e nella vita quotidiana di noi pecore o predatori, vittime o carnefici, ricercatori o conservatori, ma sempre e comunque umani!

Giuseppe Selvaggi‎ a don Tonino Bello

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Questa sera, Signore, voglio pregarti ad alta voce.
Tanto, all'infuori di te, non mi sente nessuno.
Anche l'ultima coppia di innamorati se n'é andata
infreddolita dalla brezza d'ottobre che viene dal mare.
E qui, dietro il muraglione del porto,
in questo crepuscolo domenicale,
non siamo rimasti che io e te, o Signore.
E sotto, queste onde che lambiscono i blocchi di cemento
e sembrano chiedermi stupite
il perché di tanta improvvisa solitudine.
Tricase è alle mie spalle. Davanti solo il mare:
un mare senza vele e senza sogni.
Domani, Signore, avrò la forza di pregarti per il mare,
per questo mare di piombo che mette paura,
per questo simbolo opaco del futuro che mi attende.
Stasera, invece, voglio pregarti
per ciò che mi lascio dietro,
per la mia città di Tricase,
per questa terraferma tenace,
dove fluttuano ancora... le mie vele e i miei sogni.
Non ti annoierò con le mie richieste, Signore.
Ti chiedo solo tre cose. Per adesso.
Dai a questi miei amici e fratelli
la forza di osare di più.
La capacità di inventarsi. La gioia di prendere il largo.
Il fremito di speranze nuove.
Il bisogno di sicurezze
li ha inchiodati a un mondo vecchio, che si dissolve,
così come hai inchiodato me su questo scoglio, stasera,
col fardello pesante di tanti ricordi.
Dai ad essi, Signore, la volontà decisa
di rompere gli ormeggi.
Per liberarsi da soggezioni antiche e nuove.
La libertà è sempre una lacerazione!
Non è dignitoso che, a furia di inchinarsi,
si spezzino la schiena per chiedere un lavoro «sicuro».
Non è giusto attendersi dall'alto le «certezze»
del ventisette del mese.
Stimola in tutti, nei giovani in particolare,
una creatività più fresca, una fantasia più liberante,
e la gioia turbinosa dell'iniziativa
che li ponga al riparo da ogni prostituzione.
Una seconda cosa ti chiedo, Signore.
Fa' provare a questa gente che lascio
l'ebbrezza di camminare insieme.
Donale una solidarietà nuova, una comunione profonda,
una «cospirazione» tenace.
Falle sentire che per crescere insieme
non basta tirar dall'armadio del passato
i ricordi splendidi e fastosi, di un tempo,
ma occorre spalancare la finestra del futuro
progettando insieme, osando insieme,
sacrificandosi insieme.
Da soli non si cammina più.
Concedile il bisogno di alimentare
questa sua coscienza di popolo
con l'ascolto della tua parola.
Concedi, perciò, a questo popolo, la letizia della domenica,
il senso della festa, la gioia dell'incontro.
Liberalo dalla noia del rito, dall'usura del cerimoniale,
dalla stanchezza delle ripetizioni.
Fa' che le sue Messe siano una danza di giovinezza
e concerti di campane,
una liberazione di speranze prigioniere
e canti di chiesa,
il disseppellimento di attese comuni
interrate nelle caverne dell'anima.
Un'ultima implorazione, Signore.
È per i poveri.
Per i malati, i vecchi, gli esclusi.
Per chi ha fame e non ha pane.
Ma anche per chi ha pane e non ha fame.
Per chi si vede sorpassare da tutti.
Per gli sfrattati, gli alcolizzati, le prostitute.
Per chi è solo. Per chi è stanco.
Per chi ha ammainato le vele.
Per chi nasconde sotto il coperchio
di un sorriso cisterne di dolore.
Libera i credenti, o Signore,
dal pensare che basti un gesto di carità
a sanare tante sofferenze.
Ma libera anche chi non condivide le speranze cristiane
dal credere che sia inutile spartire il pane e la tenda,
e che basterà cambiare le strutture
perché i poveri non ci siano più.
Essi li avremo sempre con noi.
Sono il segno della nostra povertà di viandanti.
Sono il simbolo delle nostre delusioni.
Sono il coagulo delle nostre stanchezze.
Sono il brandello delle nostre disperazioni.
Li avremo sempre con noi, anzi, dentro di noi.
Concedi, o Signore, a questo popolo che cammina
l'onore di scorgere chi si è fermato lungo la strada
e di essere pronto a dargli una mano
per rimetterlo in viaggio.
Adesso, basta, o Signore: non ti voglio stancare,
è già scesa la notte.
Ma laggiù, sul mare,
ancora senza vele e senza sogni,
si è accesa una lampara.

Tonino Bello

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dogma

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pecore nere o di colore sgradito

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